Gli strumenti musicali

La multietnicità del Mali si riflette anche nel patrimonio musicale, dato da un differente uso di strumenti, dalle diverse tonalità sonore e dalle composizioni che rispecchiano le singole tradizioni. La musica ritma le differenti stagioni dell’essere umano, accompagnandolo nelle molteplici situazioni che incontra dalla nascita alla morte: il Matrimonio, il raccolto, le cerimonie, l’allevamento, la caccia, la pesca, le transumanze, tutto è raccontato ed accompagnato da melodie che si incuneano nella vita dell’uomo africano. Anche se l’approccio è differente a seconda dell’appartenenza etnica, la musica ne permea l’esistenza.

Canti ritmati da un semplice tamburellare di dita sulle calebasse ed accompagnati da strumenti monocorde o rudimentali flauti fino ad elaborate composizioni create con l’ausilio di strumentazione varia ed evoluta. Troviamo così le melodie solitarie dei Peulh, popolo nomade, che servono ad allontanare la solitudine. La coralità Bambarà. I Bobo, che seguono i ritmi frenetici delle coreografie con l’uso di strumenti a percussione, tamburi e balafon. Fischietti e campanacci che fanno da sfondo alle cerimonie funebri impersonate dalle maschere Dogon. Il ritmo ipnotico del “imzad”, il violino monocorda tra i Songhai ed i Bellàh che iniziano riti nella brousse o nella tradizione “tamasheq" dei Touareg, quando accolgono i geni dell’acqua.

La cosa diviene artisticamente più sofisticata con l’ingresso dei “Griot”, i cantastorie che accompagnano il loro canto al suono della kora. I suonatori creano sonorità energiche, ricche di vibrazioni avvolgenti o intimiste, a seconda che si tratti di cerimonie festose o riti sacri.

Individuare l’esatta origine dell’uso degli strumenti non è così semplice. La colonizzazione e la successiva nascita degli stati-nazione africani hanno alterato gli originari confini territoriali, rendendo difficile stabilire la loro precisa localizzazione. inoltre, molti racconti orali lasciano supporre che, in tempi remoti, solo ad una minoranza di “iniziati” fosse permesso di apprendere l’arte del suono. Se a quanto detto sommiamo il fatto che alcuni strumenti cambiano denominazione a seconda del villaggi in cui vengono usati, la loro origine si complica. Accontentiamoci dunque di sapere che alcuni di questi esistono e sono stati utilizzati magistralmente da etnie che successivamente hanno sviluppato, grazie al loro uso, una sensibilità ritmica ed artistica di elevata fattezza.

Nella sezione Strumenti di questo sito verranno trattati ed approfonditi gli strumenti musicali tipici dell'Africa occidentale (West Africa) in particolare della zona sub sahariana anticamente popolata dall'impero del Mali (o Impero del Manden) nel periodo compreso fra il 1235 e il 1645, un popolo di etnia mandinka che viveva nella regione fra l'attuale Guinea settentrionale ed il Mali meridionale. Il termine "mandinka" (poi corrotto nel francese mandingue o nell'inglese mandingo, dal quale poi il termine malinkè) deriva dall'unione di manden con il suffisso ka ("popolo"). Il nome "Mali" fu introdotto dai popoli di lingua pulaar che abitavano nelle regioni circostanti (Macina, Tekrur, Fouta Djallon) in seguito alla trasformazione fonetica di mandinke-manden in malinke-mali.

Durante questo periodo la musica era tramandata dai griots, antichi detentori della cultura musicale dell'epoca, che tramandavano la loro conoscenza per via orale ai propri discendenti di generazione in generazione. I griots erano abili artigiani nella fabbricazione degli strumenti musicali, che venivano costruiti da loro stessi seguendo i riti dettati dalle loro credenze religiose.

 


Si è accennato ai “griot”, varrebbe la pena dedicare qualche riga d’approfondimento a questo personaggio, che nella tradizione orale, così come gli anziani dei villaggi, potrebbe essere considerato come una biblioteca vivente. Prevalentemente di sesso maschile, ma uomo o donna che sia poco importa, è una figura presente in tutta l’Africa occidentale. Il termine “griot” starebbe a significare “signore della parola” . La sua immancabile presenza a funerali, matrimoni, cerimonie di sacrificio, riti di circoncisione, fa si che la testimonianza dell’accaduto possa continuare a vivere. È un cantastorie, un “libro vivente” dove vengono appuntati fatti e cronache di storia vissuta. Elemento indispensabile nella cultura locale, passa da villaggio a villaggio raccontando e tramandando avvenimenti di fatti accaduti realmente o racconti leggendari. Si racconta che quando muore un griot è come se una biblioteca andasse a fuoco. Per un approfondimento vi invitiamo a visitare la sezione Storia di questo sito.